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Esercizi di stile I DIALOGHI |
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Una delle principali bêtes noires nella stesura di un romanzo è
riuscire a scrivere dialoghi efficaci. Se vi è capitato di leggere
romanzi scritti da esordienti, avrete spesso notato che qualcosa nel
dialogo tra i personaggi non “ingrana”, non gira a dovere. Anche nei
casi migliori, ovvero quando la forma è impeccabile e i contenuti
interessanti, può rimanere un sospetto di artificiosità nel modo in cui
gli interlocutori parlano tra loro.
Tutti abbiamo esperienza di dialoghi – a chi non capita di scambiare
ogni giorno almeno un paio di battute con un’altra persona? – ma
renderli in modo efficace e credibile sulla carta non è affatto
semplice. Come succede in teatro, anche nello scrivere molto si svolge
dietro le quinte. Se non sai recitare, non puoi improvvisarti attore.
Cosa è dunque utile sapere prima di stendere un dialogo? Il primo passo per raggiungere questo obbiettivo è comprendere a cosa servono i dialoghi. Diciamo subito che ogni scrittore ha il suo modo di utilizzarli. Alcuni ne fanno un uso piuttosto parco, ritenendo spezzino eccessivamente la trama; altri invece si avvalgono di fittissimi dialoghi per far passare informazioni importanti. Di seguito riporteremo le loro funzioni principali, ma va da sé che
se ne possono inventare di nuove, a seconda del tipo di romanzo e delle
intuizioni personali di un bravo autore. Diciamo che la regola base è dire il meno possibile esplicitamente, e lasciare che sia l’implicito ad arrivare ai lettori: se un personaggio si lamenta sempre oppure tende a irritarsi per un nonnulla, il lettore non avrà dubbi a inquadrarlo, anche se non troverà scritto da nessuna parte che costui è un tipo piagnucoloso o irascibile.
Vediamo ora come lo stesso brano può essere reso più efficace, eliminando i preamboli inutili:
La caratterizzazione comporta anche una consapevolezza della personalità dei personaggi da parte dell’autore. Molti scrittori insistono nel descrivere l’aspetto fisico dei propri personaggi, ma pochi sanno farci ascoltare le loro “voci”. Se ci avete fatto caso, ciascuno di noi ha un suo modo di parlare, di porsi, utilizza intercalari diversi. Pertanto sarebbe bene immedesimarsi nel modo di esprimersi di ciascun personaggio – rispetto alla sua indole, al suo modo di pensare – e mantenere lo stesso stile espressivo ogni volta che interviene in un dialogo. Il modo più semplice, sebbene non molto elegante, è introdurre locuzioni tipiche per ciascun personaggio («Giuda ballerino!», tanto per citare un classico dei fumetti). Ancora meglio, è riuscire a creare un vero e proprio registro espressivo, almeno per i personaggi principali. Una persona colta, un raffinato gaudente o un vecchio pensionato utilizzeranno termini differenti, modi diversi di costruire le frasi. Faranno inoltre trapelare – in maniera più o meno sottile – le loro convinzioni ed esperienze personali, il loro pensiero e la loro ideologia. L’ideale, tuttavia, è trasmettere attraverso il dialogo la psicologia e la personalità dei vari personaggi. Ma, anche, in questo caso, perché raccontare tutto subito? E, soprattutto, l’autore non avrebbe potuto usare modi più eleganti per dare le stesse informazioni?
2. Fornire informazioni
Il maldestro autore di questo intervento vorrebbe sia inserire un utile consiglio del tenente Sciarpetta, probabilmente risolutivo ai sensi della trama, sia spiegare al lettore chi sia l’ispettore Cardigan, qui evidentemente introdotto per la prima volta. L’informazione è però veicolata in maniera assai poco naturale, in quanto si presume che La Felpa sappia benissimo chi sia Cardigan, visto che si rivolgeva a lui nei casi più intricati (e possiamo anche scommettere che a La Felpa non fa certo piacere sentirsi ricordare le sue débâcles). In realtà non c’è bisogno di inserire subito tutte le informazioni e, soprattutto, di far dire a un personaggio qualcosa che, in un dialogo reale, non vorrebbe mai detto. Siate più naturali possibile, e ricordate che un buon lettore riesce a intuire un gran quantità di dettagli dal contesto; se c’è qualcosa da spiegare, si può farlo al momento opportuno. Ad esempio:
Il mio suggerimento è di evitare di scrivere un dialogo solo per dare
un’informazione: in questi casi, quasi sempre il risultato è pessimo,
perché si perdono di vista i personaggi, il loro sentire, quell’ampiezza
di argomenti che di solito sottendono a una conversazione. Cercate,
piuttosto, di utilizzare i dialoghi per più scopi contemporaneamente. Ad
esempio, caratterizzare i personaggi, far accadere qualcosa, e solo in
ultima battuta dare le informazioni che ritenete utili.
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3. Portare avanti il romanzo Un dialogo non può essere qualcosa di appiccicato in mezzo alla narrazione tanto per fare. Come già detto, i dialoghi fanno parte del romanzo e, pertanto, la loro funzione principale è quella di renderlo vivo, interessante, coinvolgente rispetto alla trama e di far accadere qualcosa di nuovo. Premetto che non è mia presunzione spiegarvi in due righe come si fa, visto che in questo non si tratta di applicare regole, ma soprattutto di smuovere sensibilità, immaginazione e, nel contempo, di non perdere di vista la coerenza logica. Una specie di gioco di prestigio, insomma, ma affascinante, intrigante, e che costituisce per ogni autore una sorta di partita a scacchi contro se stesso. Ciò che è importante sapere in questa sfida – a mio parere il fulcro di ogni dialogo – è che, esattamente come nella realtà, parlare con gli altri ti cambia. A volte solo per aver ricevuto una notizia di cui eri all’oscuro, altre per delle parole che ti colpiscono e che ti fanno riflettere, oppure semplicemente per aver colto nell’interlocutore qualcosa che di lui non conoscevi. Tutto questo si chiama evoluzione. I personaggi, mentre parlano,
evolvono, e un bravo autore dovrebbe essere consapevole dei loro
passaggi, di cosa si muove e come connaturarlo alla trama. Meglio
ancora, dovrebbe deciderlo.
Ci sono più modi per introdurre un dialogo.
Questa formula, a mio parere una delle migliori, consente di
“rappresentare” i dialoghi come parti integranti del romanzo, e non come
una brusca interruzione del flusso narrativo. Come noterete, mentre
parlano i personaggi interagiscono, agiscono, inoltre vengono forniti
dettagli sull’ambiente circostante, dando la sensazione a chi legge di
vedere la scena davanti ai propri occhi. Ma approfondiremo questo
aspetto nel prossimo paragrafo. Il precedente esempio si presenterebbe come segue:
Questo sistema, tuttavia, non brilla per eleganza, perché aggiunge
inutili precisazioni – come abbiamo visto tutto poteva essere scritto
senza sintagmi di legamento – che rischiano di appesantire la prosa.
Pertanto il verbum dicendi va centellinato, ossia utilizzato solo
dove non si può fare altrimenti, come nel caso di una possibile
confusione sul soggetto. In tutte le altre occorrenze, è preferibile
evitarlo o, quantomeno, optare per una forma mista.
Nell’esempio è palese chi sia a parlare nella prima come nella
seconda battuta: tutti gli appassionati dei gialli del commissario la
Felpa sanno quanto lui indulga nei piaceri della gola e quanto invece
sia salutista il suo braccio destro Maglione. Ebbene, tutti questi dettagli possono contribuire alla verosimiglianza. Mettiamo a confronto i seguenti dialoghi. Nel primo, senza problemi di confusione su chi stia parlando, La Felpa e Maglione sono finalmente seduti al ristorante.
Tutto è molto chiaro, perché si capisce chi dice cosa (caratterizzazione dei personaggi), ma siamo sicuri che non si possa fare di meglio?
Sia chiaro che, rispetto al contesto narrativo, può essere
preferibile la prima soluzione rispetto alla seconda.
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3. Esagerare con la verosimiglianza? Il parlato è molto diverso dallo scritto. Quando ci si addentra in una conversazione si hanno esitazioni, pause, spesso la consecutio temporum va a farsi benedire e capita che si venga interrotti, di cambiare completamente discorso, senza più tornare su quanto era stato detto all’inizio. Nella realtà questo è accettabile, è così che va, ma in letteratura il risultato si riduce a una confusione senza senso, poco incisiva e per molti versi sconcertante. E questo perché la letteratura ha altre esigenze:
Dunque, conversazioni reali e dialoghi letterari appartengono a mondi diversi. Mondi che non vanno confusi. Mi è capitato, nel corso delle revisioni, di trovare autori che, fidandosi di consigli trovati in rete o su manuali di bassa lega, mi hanno confessato – di fronte alla mia perplessità su quanto avevano scritto – di aver registrato conversazioni per strada, nei bar, in autobus, per riuscire a rendere i loro dialoghi più credibili. Disastro assoluto. Ma secondo voi, Dostoevskij, Tolstoj, Manzoni, Proust, Stendhal andavano in giro a registrare le conversazioni degli altri prima di scrivere i dialoghi? La risposta è no, non fosse altro perché manco ce l’avevano il
registratore. |
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4. Accorgimenti formali Anche se in linea generale concordano su molti punti, solitamente le case editrici adottano formalismi diversi, come ad esempio il modo di introdurre i dialoghi, che possono essere preceduti da una lineetta ( – ) o racchiusi da virgolette alte (“...”) o caporali («...»). Va da sé che – a meno che non siate già d’accordo con una casa editrice per la pubblicazione del vostro romanzo – è importante che decidiate a monte una linea da seguire e la manteniate con coerenza per tutta la stesura, altrimenti rischiate che, in fase di valutazione, vi siano fraintendimenti su quali periodi rientrino nei dialoghi e quali meno. Inoltre è bene tener presenti alcuni criteri – pressoché standard in ogni casa editrice – che hanno la funzione, per l’appunto, di garantire la maggiore chiarezza possibile.
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